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L’articolo che segue è stato pubblicato su Corriere Buone Notizie del 17 novembre 2020 ed è parte dell’inchiesta di Percorsi di secondo welfare su Next Generation EU. L’inchiesta è completata da questo articolo di Paolo Rivache approfondisce come il programma potrebbe supportare i giovani nella loro transizione verso il mondo del lavoro. Si segnala che l’inchiesta è stata conclusa prima che Polonia e Ungheria ponessero il veto sul bilancio UE, bloccando nei fatti Next Generation EU e creando condizioni che potrebbero portare a un suo ridimensionamento.


La Commissione Europea ha proposto di rilanciare Garanzia Giovani, la misura nata nel 2013 a sostegno dei Neet, i giovani che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi di formazione. Secondo Bruxelles il programma ha finora garantito la transizione verso il lavoro di circa 24 milioni di ragazzi under 30 e, anche alla luce delle sfide poste dal Covid-19, l’obiettivo è rafforzarlo investendo 22 miliardi di euro nei prossimi 7 anni.

La notizia ha fatto trasalire molti in Italia, dove la percezione diffusa è che Garanzia Giovani sia sostanzialmente un fallimento. Perché ri-finanziare l’iniziativa visto che il nostro Paese è ancora il fanalino di coda dell’Europa con ben 2 milioni di Neet (il 22,2% della popolazione 15-29 anni)? I dati ci dicono che finora la Garanzia ha intercettato 1,6 milioni di giovani che nel 60% dei casi sono stati avviati a tirocini extra-curriculari, incentivi occupazionali o corsi di formazione. Dei quasi 700 mila ragazzi che hanno completato questi percorsi, circa 400 mila (il 55%) sono occupati. Si tratta di 1 giovane su 4. Non è poco, soprattutto se si considera che la Garanzia non mira direttamente alla crescita dell’occupazione ma, piuttosto, all’attivazione dei giovani per contrastare l’indebolimento delle competenze che deriverebbe dalla loro permanenza al di fuori del mercato del lavoro e dai circuiti formativi. In altre parole, Garanzia Giovani punta a migliorare l’occupabilità dei ragazzi, intervenendo sulla loro capacità di proporsi sul mercato del lavoro. Non è allora corretto valutare lo strumento in termini di ricadute occupazionali dato che non è questo l’obiettivo della misura.

Peraltro, in Italia, a mancare sono le opportunità occupazionali e i giovani si trovano purtroppo a fare i conti con i limiti della domanda occupazionale del nostro Paese. L’impressione è allora che la Garanzia Giovani deluda le aspettative dei ragazzi (che mirano giustamente a trovare un’occupazione) non tanto perché non riesca a raggiungere l’obiettivo di attivarli, quanto piuttosto perchè il passo successivo, ovvero l’ottenimento di un impiego, si scontra con le caratteristiche di un mercato del lavoro che si distingue per una carenza strutturale di posti. Se così stanno le cose, il problema non è allora Garanzia Giovani in sé, ma piuttosto il fatto che essa non possa contare su solide politiche industriali e di sviluppo economico volte a promuovere l’occupazione tout court. Per questo è sbagliato proporre di accantonare la misura, che anzi potrebbe fungere da stimolo per immaginare interventi più ampi sul mondo del lavoro.

Anche perché, come mostra una recente ricerca di Secondo Welfare e ActionAid Italia sull’implementazione di Garanzia Giovani in 4 regioni italiane, la misura ha migliorato alcuni aspetti delle politiche attive del lavoro. In Calabria, Lombardia, Piemonte e Puglia essa è stata volàno per la sperimentazione di nuove modalità operative che si stanno ora consolidando: è il caso ad esempio della rendicontazione a costi standard e della definizione di un sistema di profilazione unico per tutto il Paese. Attenzione dunque a non buttar via con l’acqua sporca anche il bambino.


Questo articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera del 17 novembre 2020 nell’ambito della collaborazione tra Secondo Welfare e Buone Notizie; è è qui riprodotto previo consenso dell’autore.