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Attraverso Next Generation UE, lo strumento messo in campo dall’Unione Europea per superare la crisi economica causata dalla pandemia di Covid-19, la Commissione Europea intende aumentare in maniera consistente il proprio impegno per l’occupazione dei giovani. Secondo una proposta della Commissione (data 1° luglio), nei prossimi anni una mole enorme di risorse saranno messe a disposizione deli Stati membri a tale scopo: l’iniziativa REACTEU doterà i fondi della politica di coesione di 55 miliardi di euro nel periodo 2020-2022, mentre per il periodo di programmazione 2021-2027 il Fondo Sociale Plus sarà invece pari a 86 miliardi. Si tratta quindi di un notevole passo avanti rispetto ai 22 miliardi stanziati a favore dell’occupazione giovanile nel precedente periodo di programmazione 2014-2020. Inoltre, le stesse risorse provenienti dal dispositivo per la ripresa e la resilienza, il cosiddetto Recovery Fund (che la Commissione stimava inizialmente in 560 miliardi di euro ma che il Consiglio Europeo, come sappiamo, ha portato a 750 miliardi) saranno orientate a sostenere il futuro delle nuove generazioni.

Con parte di queste risorse, la Commissione intende rafforzare Garanzia Giovani, la misura europea attiva dal 2013 e che si rivolge ai Neet, ovvero i giovani che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi di formazione professionale – l’acronico sta per Not (engaged) in Education, Employment or Training

Nel 2019, con oltre due milioni di giovani in questa condizione, lItalia è stato il Paese con il più alto tasso di giovani Neet in Europa (22,2% contro una media UE del 12,6%). Uno scenario che pare destinato a peggiorare nel contesto dell’attuale crisi. La domanda è quindi d’obbligo: Garanzia Giovani è uno strumento adatto a fronteggiare una situazione di questo tipo?
Come ha notato di recente Maurizio Ferrera, in Italia è diffusa la convinzione che Garanzia Giovani sia stata un fallimento, e questo nonostante il fatto che la misura abbia consentito di intercettare, negli anni, 1,5 milioni di Neet di cui quasi il 60% è stato avviato a un intervento di politica attiva. Inoltre, dei quasi 700 mila ragazzi che hanno completato l’intervento di politica attiva, più della metà (54,9%) è occupato (per approfondire, si veda qui).

Il problema allora non è da ricercare tanto nello strumento in sé, ma piuttosto nelle caratteristiche del nostro mercato del lavoro e, in generale, dell’economia italiana. In proposito è utile ricordare che l’obiettivo di Garanzia Giovani, definito a livello europeo e recepito dall’Italia, non riguarda direttamente la crescita dell’occupazione giovanile ma piuttosto l’attivazione dei giovani al fine di ridurre i rischi di indebolimento degli skill causato dalla permanenza al di fuori del mercato del lavoro e dai circuiti formativi e dell’istruzione. In altre parole, Garanzia Giovani è uno strumento che mira all’occupabilità dei ragazzi, intervenendo quindi sull’offerta di lavoro, ma che si scontra con il forte limite della domanda occupazionale che riguarda il nostro Paese, caratterizzato da una notevole carenza di posti di lavoro.

Se così stanno le cose, è chiaro che l’alto tasso di disoccupazione giovanile non può essere direttamente imputabile al fallimento di Garanzia Giovani ma piuttosto al fatto che questa misura non sia stata adeguatamente inserita in un quadro di solide politiche industriali e di sviluppo economico volte a promuovere l’occupazione tout court.

Viene allora da chiedersi se sia giusto valutare questo strumento solo in termini di ricadute occupazionali sui giovani. Forse no. Inoltre, come emerge da una recente ricerca condotta dal nostro laboratorio, l’implementazione di Garanzia Giovani ha avuto un impatto positivo sul processo di innovazione delle politiche attive. A livello locale (la nostra ricerca si concentrata su quattro casi regionali: Calabria, Lombardia, Piemonte e Puglia) questa misura è stata il volàno per la sperimentazione di nuove modalità operative che si stanno consolidando progressivamente. Un processo di questo tipo si è verificato in particolare con riferimento ai principi operativi messi in campo: è il caso ad esempio della rendicontazione a costi standard e della definizione di un sistema di profilazione unico per tutto il territorio nazionale.

In questo quadro, le aspre critiche e la generale sfiducia nei confronti di Garanzia Giovani non sembrano giustificate. Visti i programmi, anche e soprattutto europei, che daranno sostegno all’Italia nel tentativo di ripresa dell’economia, appare più utile focalizzarsi sulle priorità delle riforme e l’attivazione di un circolo virtuoso in grado di liberare le energie migliori per la crescita dell’economia e dell’occupazione, per dare a Garanzia Giovani la possibilità di esprimersi al massimo delle sue potenzialità.