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Sul numero 3/2021 della rivista Impresa Sociale, Armando Vittoria (Università degli Studi di Napoli Federico II) con l’articolo “La sostenibilità di una politica sociale income-based: gli effetti del reddito di cittadinanza sullo spazio di intermediazione del terzo settore“, indaga come si possa garantire la sostenibilità di politiche incentrate su misure individualizzate di trasferimento monetario di reddito, come, ad esempio, il reddito di base o basic income. Di seguito vi proponiamo una sintesi di questo contributo.

Reddito minimo e democrazia

Il dibattito sulle cosiddette politiche di reddito minimo è da quasi un ventennio al centro delle agende dei governi democratici. I motivi di questo interesse sono presto detti. Concepite in piena transizione post-fordista, hanno dato prova di contrastare povertà ed esclusione sociale. E dopo la crisi finanziaria, l’austerity e la pandemia, è diventato dirimente un sistema di welfare in grado di contrastare, davvero, le crescenti diseguaglianze.

Ma queste non sono le uniche ragioni. A queste crisi dobbiamo aggiungere lo sviluppo di alcuni fenomeni economici, produttivi e sociali. L’automazione, la delocalizzazione produttiva, la disoccupazione involontaria e non solo, hanno minato alle fondamenta il welfare keynesiano della società industriale.

Proprio per la crescente centralità delle politiche income-based, l’autore si chiede se ci troviamo di fronte alla prospettiva di una “democrazia del reddito” che, più che rimuovere gli ostacoli di diseguaglianza attraverso la promozione cittadinanza democratica attiva come nella “democrazia del welfare”, si limita a istituzionalizzare complessi di politica sociale basati sul trasferimento di una equa dote monetaria di inclusione su base individuale.

Inoltre, nell’articolo si cerca di approfondire l’impatto che queste politiche – ma anche quelle di reddito minimo – possono avere sul ruolo di intermediazione e aggregazione sociale svolto dai soggetti del Terzo Settore.

Immagine copertina articolo impresa sociale numero 3/2021 su welfare income-based

Dal reddito di base alla democrazia del reddito income-based: un possibile frame

Secondo l’articolo di Impresa Sociale, le politiche di reddito minimo dimostrano una certa efficacia nel contenere sul breve periodo povertà ed esclusione sociale. Mentre è la politica sociale del reddito (anche minimo) ad essere decisamente meno promettente sul medio-lungo termine. Soprattutto nella logica di redistribuire spazi di cittadinanza democratica, cioè sulla sostenibilità politica della diseguaglianza strutturale. Sembra piuttosto aggravare l’individualizzazione e la monetizzazione dell’intervento sociale, quella disarticolazione del tessuto civile-sociale che attualmente minacciano lo spazio democratico.

Questo riguarderebbe secondo l’autore anche il Reddito di Cittadinanza (RdC). Ad esempio, per la scelta di non coinvolgere la rete dei Comuni, già coinvolta nell’attuazione del REI, cioè del Reddito di Inclusione. Una misura, comunque, quanto mai necessaria, se concepita con l’esclusivo obiettivo di fronteggiare la povertà.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha provato a de-individualizzarne l’impatto. I due strumenti immaginati per questa seconda fase sono stati i Progetti utili alla collettività (PUC) e i Patti per l’inclusione sociale (PAiS).

Gli effetti dei PUC si concentrano nelle regioni più povere, le stesse dove il terzo settore è meno presente. Mostrando risultati che danno comunque speranza sulle loro potenzialità come policy-su-policy, in grado di provocare una re-intermediazione. Purtroppo, ancora oggi gran parte dei 571 progetti PAiS è in fase di approvazione da parte di comuni ed enti. Non è possibile quindi dire ancora nulla sui loro effetti.

Queste sono solo indicazioni iniziali ma interessanti, e che tuttavia mostrano alcune tendenze. Nei territori con più alta qualità istituzionale  e maggior presenza del privato sociale, il Terzo Settore sembra essere più coinvolto. Insomma, parte della politica sociale viene reintermediata e risocializzata. Diversamente, la maggior parte dei fondi del PON Inclusione vengono ri-centralizzati negli enti locali e programmati nel rafforzamento dei loro servizi sociali.


Leggi l’articolo integrale su Impresa Sociale 3/2021