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Quello scolastico è uno degli ambiti che più hanno subito gli effetti delle restrizioni conseguenti al Covid: scuole e università sono state tra i primi servizi a essere chiusi allo scoppio della pandemia, nel febbraio 2020, mai più riaperte in quell’anno scolastico, a singhiozzo in quello 2020-21, con una netta prevalenza di attività didattiche a distanza (DAD), che stanno tornando in scena anche all’inizio del 2022, a seguito della nuova ondata pandemica. Il XXII Rapporto Rota – di cui abbiamo già discusso i dati in merito all’effetto che il Covid-19 ha avuto sul sistema sanitario e sul mondo del lavoro – ha provato a verificare gli impatti prodotti dalla pandemia sui sistemi formativi.

I primi effetti del Covid-19 sul sistema educativo

In questi due anni, in molti hanno segnalato la preoccupazione che un’offerta didattica così problematica possa produrre effetti nefasti in termini di un aumento dell’abbandono scolastico e, dunque, un calo di iscritti tanto a scuola quanto all’università. In proposito, purtroppo, si sa ancora ben poco: né a livello nazionale né a livello locale, infatti, sono per ora disponibili dati relativi a iscrizioni e abbandoni relativi all’anno scolastico 2020-21 nelle scuole dai livelli di base fino alle superiori.

Per quanto riguarda l’università, la maggior parte degli atenei italiani nell’autunno 2020 ha registrato un incremento di nuovi immatricolati; ciò è stato da molti attribuito all’offerta, pressoché esclusiva nell’A.A. 2020-21, di corsi in remoto, quasi sempre con registrazione delle lezioni, il che ha favorito – rispetto alla situazione pre-Covid – sia gli studenti «fuori sede» (non più costretti a trasferirsi, affittare casa, ecc.) sia gli occupati, meno vincolati a orari di lezione incompatibili con quelli lavorativi. Tra i grandi atenei italiani, gli incrementi maggiori di immatricolati si sono registrati all’Università di Catania (+25%), Milano Bicocca (+21%), Roma III (+17%), Genova (+15%%), Firenze (+13%%). Quanto all’anno accademico in corso, sono disponibili stime provvisorie del Miur, secondo le quali sarebbe in atto un’inversione di tendenza, con un calo di immatricolati pari, a livello nazionale, a -3%.

Quanto al rischio di abbandono scolastico (fenomeno che quasi sempre si verifica a seguito di bocciature), i dati sono per ora apparentemente incoraggianti: a giugno 2020 (i dati 2021 non sono ancora disponibili), la quota di allievi respinti è crollata sia alle scuole medie sia alle superiori. Tale tendenza pare però attribuibile essenzialmente al fatto che – tenendo conto delle maggiori difficoltà, conseguenti a chiusure delle scuole e DAD – molti docenti hanno attribuito valutazioni più generose rispetto al passato, dai livelli di base fino alla maturità: in quest’ultimo caso, per esempio, ovunque in Italia è crollata la percentuale dei voti più bassi, inferiori a 81/100 (-24% a livello medio nazionale tra la maturità del 2019 e quella del 2020), mentre, all’opposto, è esplosa la quota dei 100, con e senza lode (+72% in Italia).

Figura 1. Variazioni dei voti di maturità tra giugno 2019 e giugno 2020
Figura 1. Variazioni dei voti di maturità tra giugno 2019 e giugno 2020 – Variazioni percentuali Elaborazioni su dati Miur.

In teoria, questa crescita generalizzata delle valutazioni potrebbe dipendere dall’aver conseguito una migliore qualità negli apprendimenti. Tuttavia, i test Invalsi di giugno 2021 rivelano, invece, un diffuso peggioramento rispetto ai punteggi ottenuti dagli studenti nell’edizione precedente, quella del 2019 (nel 2020 i test non si tennero a causa dell’emergenza Covid).

Figura 2. Variazioni 2019-2021 dei punteggi medi alle prove Invalsi nelle scuole italiane Elaborazioni su dati Invalsi
Figura 2. Variazioni 2019-2021 dei punteggi medi alle prove Invalsi nelle scuole italiane – Elaborazioni su dati Invalsi.

Le evidenze dei test Invalsi

Un interessante spunto di riflessione è dato dalla forte corrispondenza la durata dei periodi di chiusura delle scuole nelle varie città e gli andamenti dei test Invalsi. Tra l’altro, a differenza di quanto ci si potrebbe logicamente attendere, il numero di giorni in presenza persi a scuola spesso non corrisponde ai livelli di gravità della pandemia: per esempio, a Napoli o a Reggio Calabria le scuole sono rimaste chiuse più a lungo nel 2020-21 pur in presenza di livelli relativamente meno critici della pandemia; viceversa è accaduto per esempio a Milano (la metropoli con i maggiori livelli di criticità pandemica1).

Quanto invece ai punteggi ottenuti nei test Invalsi, emerge una significativa corrispondenza con la durata della chiusura delle scuole in presenza: dove si è fatta più DAD i punteggi Invalsi sono peggiorati maggiormente (si vedano, nella tabella seguente, soprattutto i casi di Napoli e di Bari), mentre là dove le scuole hanno chiuso per meno tempo – come a Roma o a Firenze – il peggioramento degli esiti nelle prove Invalsi è risultato più contenuto.

«Proprio alcune tra le regioni particolarmente colpite dalla dispersione scolastica già prima della pandemia – sottolinea un documento di Save the children (2020) – sono quelle in cui si è assicurato il minor tempo scuola in presenza per i bambini e i ragazzi; il rischio è dunque quello di un ulteriore ampliamento delle diseguaglianze educative»2.

Tabella 1. Durata della DAD e variazioni dei punteggi Invalsi, in alcune città metropolitane – Percentuali di giorni in DAD e variazioni percentuali dei punteggi Invalsi tra 2019 e 2021; totale scuole da primarie a superiori; elaborazioni su dati Ministero dalla salute, Save the children, Invalsi; dati sulla DAD non disponibili per Genova, Trieste, Venezia, Bologna, Catania, Messina, Cagliari.

DAD: il bilancio negativo di studenti e docenti

Nel biennio 2020-2021 sono stati anche realizzati numerosi sondaggi3 per raccogliere opinioni e valutazioni di studenti e docenti sulla DAD. Da tali studi emerge una forte convergenza di punti di vista, sia tra studenti e docenti sia tra scuole superiori e università: la didattica in remoto risulta aver decisamente peggiorato la qualità delle relazioni tra gli studenti e quelle tra allievi e professori; inoltre, ha reso più stancante e difficile seguire le lezioni e apprendere i contenuti, sia perché con la DAD ci si distrae molto più facilmente, sia per i frequenti intoppi tecnici causati da deboli connessioni web e da altre insufficienze tecnologiche (si tenga anche conto che un terzo degli studenti, specie alle medie e alle superiori, ha dovuto seguire, con fatica, le lezioni attraverso uno smartphone).

D’altronde, recenti studi di psicologia sociale certificano come la DAD – così come, per altro, lo smart working – presenti gravi limiti strutturali, non permettendo di cogliere aspetti comunicativi essenziali dell’interazione in presenza (gestualità delle mani, eventuali contatti fisici, microespressioni del viso), generando inoltre affaticamento cerebrale (anche per il doversi concentrare contemporaneamente sui volti di più interlocutori), risultando quindi spesso, in definitiva, una modalità comunicativa meno efficace: meno dettagli informativi arrivano a destinazione e si generano più facilmente fraintendimenti tra gli interlocutori.

Dai sondaggi tra studenti e docenti l’unico aspetto positivo della DAD, riconosciuto dagli intervistati di tutti i livelli scolastici, riguarda la registrazione delle lezioni e la loro messa a disposizione su un portale web, il che permette di seguire anche a chi, per varie ragioni, non può essere fisicamente presente in aula.

Cosa dobbiamo aspettarci

In conclusione, il rischio è che se finora – come sottolineato – non si è registrato in Italia un aumento delle bocciature, l’accumulo di deficit di competenze da parte degli studenti (in mesi e mesi di lezioni in DAD) potrebbe facilmente indurre nel medio periodo una ripresa del numero di bocciature (specie una volta finita l’emergenza Covid e, con essa, la maggiore «tolleranza» dimostrata finora da molti docenti e scuole) e, di conseguenza, una crescita del numero di abbandoni scolastici.

Occorre dunque soppesare con molta attenzione e senso di responsabilità i pro e i contro del ricorso alla DAD, tanto più che uno studio internazionale – curato dall’università di Oxford nella primavera 2021, sulla base di dati relativi al primo anno di Covid in diverse nazioni – ha permesso di stimare come la chiusura di scuole e università abbia contribuito a ridurre solo del 7% l’indice di contagio Rt, a fronte di un -26% nel caso della chiusura dei luoghi di ritrovo e a un -35% nel caso della chiusura degli esercizi commerciali.

Per approfondire

Gavosto A. e Romano B. (2021), Covid-19 e learning loss: quali misure senza misura?, Fondazione Agnelli.

Save the Children (2020), Non da soli. Cosa dicono le famiglie. La voce delle famiglie ai tempi del Coronavirus.

Un anno sospeso, il Rapporto Giorgio Rota 2021 - Copertina - I sistemi sanitari

Per ulteriori approfondimenti sul tema si veda il paragrafo 1.3 del XXII Rapporto Rota.

Note

  1. In termini di mortalità Covid tra gli anziani (l’indicatore a oggi più affidabile circa l’impatto pandemico), Milano è stata fin qui la metropoli italiana più colpita, precedendo Bologna, Trieste e Torino; le metropoli centro meridionali, invece, hanno subito una prima ondata Covid (nel 2020) decisamente meno impattante, mentre le ondate del 2021 hanno poi raggiunto valori simili o superiori a quelli registrati in diverse metropoli settentrionali.
  2. Sul tema del danno – sociale ed economico a un tempo – dovuto alle prolungate chiusure delle scuole si vedano anche le analisi e le stime contenute in Gavosto, Romano (2021).
  3. Si vedano, in particolare, per le scuole di base e superiori, i sondaggi condotti (tutti nel 2021) dalla Fondazione Agnelli, dall’Istituto Toniolo e da Demopolis; per l’università quelli svolti a fine 2020 da Centro Luigi Bobbio, Rapporto Rota e Consiglio degli studenti dell’Università di Torino, oltre che nel 2021 da Alma laurea.