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Ogni mese Secondo Welfare cura un’inchiesta per Buone Notizie del Corriere della Sera in cui approfondisce i grandi cambiamenti sociali in atto nel nostro Paese. Il 14 dicembre 2021 abbiamo approfondito il tema della cura agli anziani e, in particolare, delle riforme necessarie per affrontare il rischio di non autosufficienza. Di seguito Paolo Riva descrive come e quanto stia invecchiando l’Italia e quali misure potrebbero essere messe in campo per affrontare questo cambiamento epocale; qui invece Franca Maino riflette sulla necessità di ripensare i servizi a partire dal livello locale, puntando allo sviluppo di un vero e proprio platform welfare.

Nel 2022, in Italia, il modo in cui ci si prende cura degli anziani potrebbe finalmente iniziare a cambiare. Ma molto dipende dalla Legge di bilancio. E da come verrà modificata in seguito al dibattito parlamentare in corso. Il nostro è un Paese vecchio e in invecchiamento. Oggi i cittadini sopra i 65 anni sono quasi quattordici milioni, pari al 23 per cento della popolazione. È il dato più alto di tutta l’Unione europea, ma si stima che crescerà ancora, arrivando a raggiungere il 34 per cento nel 2050. Il termine anziano, però, riguarda persone molto diverse tra loro, per età, risorse e bisogni: dall’arzillo neo-pensionato all’ottantenne acciaccata fino al novantenne con demenza.

È facile dire “anziani”

Per creare un welfare che li sostenga tutti è meglio suddividerli almeno in tre gruppiattivi, fragili e non autosufficienti. Per le prime due categorie non si hanno molti dati a disposizione, mentre nella terza si contano 2,6 milioni di persone circa. Ed è proprio per loro che la situazione potrebbe cambiare. «Serve un ripensamento di sistema», sostiene Luca Vecchi, sindaco di Reggio Emilia delegato Anci al Welfare. A suo parere «occorre passare da una logica “prestazionale” a una di presa in carico e di accompagnamento della persona nella parte finale della propria vita», spiega.

 

 

La questione è quanto e come lo Stato italiano spende per questi anziani. «Male», secondo Lorenzo Bandera, del Laboratorio Percorsi di secondo welfare. «Troppo spesso – spiega – usiamo le armi della sola sanità e non del sociale. Il problema con gli anziani soli o non autosufficienti non è solo fare loro un’iniezione o portarli alle visite, ma la quotidianità. E per la quotidianità servono interventi sociali, oggi residuali».La pandemia ha messo in evidenza ancora di più queste carenze e, per il sindaco Vecchi, «ha rappresentato un potente acceleratore della necessità di innovare».

L’azione del PNRR

Per la non autosufficienza nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) sono previsti sia investimenti sia una riforma complessiva del settore. Quest’ultima è figlia anche del lavoro del Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, un’alleanza di oltre quaranta enti della società civile (tra cui Secondo Welfare, ndr) di cui il professor Cristiano Gori è il coordinatore scientifico: «Il nostro obiettivo – dice – è riconoscere alla non autosufficienza la stessa dignità degli altri settori del welfare».

«È un percorso faticoso ma ora il tema è entrato nell’agenda politica», aggiunge. La riforma dovrebbe arrivare nel 2023 o nel 2024. Ancora non è chiaro ma, per Gori, «è importante iniziare a costruirla fin da subito, sui territori». Proprio per questo il Patto per la non autosufficienza ha chiesto al Governo di inserire nella Legge di bilancio, che conta circa 30 miliardi, anche 302 milioni di euro per finanziare già nel 2022 il servizio di assistenza domiciliare (Sad). Il Sad è la componente più sociale dell’assistenza e viene erogata dai Comuni a una quota molto limitata di anziani, l’1,3 per cento.

Misure integrate a domicilio

L’Assistenza domiciliare integrata (Adi), maggiormente diffusa, è invece la parte più sanitaria, è erogata dalle aziende sanitarie locali e ha già ottenuto un significativo aumento di fondi. In un documento il Patto per la non autosufficienza chiede che i finanziamenti per il Sad siano aumentati, che l’Adi venga riformata e che le due misure siano integrate, per «superare la frammentazione» dei servizi che lascia disorientati anziani e famiglie. Nella Legge di bilancio il Governo Draghi ha previsto solo 100 milioni dei 300 richiesti, ma il Parlamento, che deve approvare il provvedimento entro fine anno, può cambiarlo.

«Se vogliamo una svolta serve un incremento rilevante di risorse. Diversamente stiamo dentro a correttivi sul sistema esistente», commenta Vecchi. «Cento milioni – spiega Gori – non bastano per avere un impatto su tutto il territorio nazionale. Trecento sarebbero la cifra giusta per partire». Per le organizzazioni del Patto per la non autosufficienza uno stanziamento adeguato per il 2022 faciliterebbe poi il varo di una riforma più efficace, capace di dare agli anziani non autosufficienti tutto ciò di cui hanno bisogno, per il tempo necessario: dai servizi medico-infermieristico-riabilitativi al sostegno nelle attività fondamentali quotidiane fino al supporto per familiari e badanti.

«Puntare non su prestazioni monetarie ma su servizi che prendono in carico le persone anche dal punto di vista sociale sarebbe utile per gli anziani non autosufficienti, ma anche per quelli fragili», ragiona Bandera di Secondo welfare. L’obiettivo dovrebbero essere dei servizi che si adeguano al percorso dell’anziano e cercano di mantenere il più possibile la sua autonomia, rimandando così l’arrivo della non autosufficienza. È uno degli aspetti su cui sta lavorando Will, un progetto per innovare i sistemi di welfare locale al quale Secondo welfare partecipa insieme alle amministrazioni di diversi capoluoghi di provincia. Tra questi, vi è anche Reggio Emilia. «Dobbiamo immaginare – conclude il sindaco Vecchi – una società che parta dai bisogni dei più deboli per costruire la qualità della vita di tutti.

 

Questo articolo è stato pubblicato su Buone Notizie del Corriere della Sera il 14 dicembre 2021 ed è qui riprodotto previo consenso dall’autore.