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Nel suo editoriale per il numero 4/2021 della rivista Impresa Sociale, interamente dedicato ai trenta anni della Legge 381, Carlo Borzaga approfondisce la storia e le origini del Terzo Settore nel nostro Paese e indaga sulle strategie per superare le letture semplicistiche del volontariato e della cooperazione sociale.

Una duplice radice

Il Terzo Settore in Italia ha una duplice radice: il volontariato organizzato e la cooperazione (di solidarietà) sociale. A partire dagli anni ’70, queste due radici hanno prodotto strategie e modelli di servizi e, al tempo stesso, hanno portato avanti istanze di riconoscimento.

Nessuno oggi mette in dubbio l’importanza di queste realtà. Più incerte sono invece le traiettorie che ne hanno comportato alla loro nascita e al loro sviluppo. Molti sostengono si debbano ringraziare le politiche di “privatizzazione” o “esternalizzazione” dei servizi sociali. Questo, per i più critici, avrebbe anche reso il Terzo Settore dipendente dal pubblico e avrebbe consentito un generico “disimpegno” dello Stato, finendo sia per metterne in discussione il valore sociale sia per minarne la capacità di innovazione.

Questa è però una lettura molto parziale e quindi fuorviante. Innanzitutto perché considera solo una parte, e neppure quella maggioritaria, di un fenomeno articolato e complesso. In secondo luogo, perché basata su schemi interpretativi presi in prestito da altre esperienze come quella anglosassone. E, infine, perché ancora dipendente dalla convinzione che gli attori del sistema economico siano solo il Mercato e lo Stato.

Analisi superficiali, che negano la portata innovativa e l’originalità dei fenomeni del volontariato e della cooperazione sociale, rischiando di sottovalutarne il potenziale. In particolare, negando il bisogno e la possibilità di creare spazi di “ascolto attivo” e di co-decisione su tematiche socialmente delicate.

Come nasce il Terzo Settore in Italia

Per sottoporre le tesi qui sopra esposte ad un esame critico, l’articolo di Impresa Sociale ripercorre le radici del volontariato e della cooperazione sociale nel nostro Paese. Iniziando dal contesto, viene messo in evidenza come negli anni in cui questi si sono si formati il sistema di welfare italiano si caratterizzava per la forte presenza di trasferimenti monetari e di pochi servizi sociali, una regolamentazione che affidava solo alle istituzioni pubbliche la fornitura di servizi sociali e l’emergere di nuovi bisogni e nuove povertà, privi di risposte pubbliche.

Guardando invece al clima politico e culturale, si ricorda invece la presenza di un ampio e composito movimento sociale che esprimeva una chiara volontà di cambiamento, che si realizzò non solo con movimenti di protesta, ma anche con azioni dirette a concretizzare un intervento sociale partendo da presupposti radicalmente diversi dalle istituzioni dominanti.

Passando ai promotori, il contributo analizza la natura e le caratteristiche dei fondatori delle organizzazioni di volontariato e delle cooperative sociali.

A riguardo si evidenzia come, nella grande maggioranza dei casi, queste realtà sono state fondate da gruppi di cittadini uniti da obiettivi comuni o legami di amicizia. I motivi della loro costituzione sono stati principalmente la volontà di rispondere a bisogni insoddisfatti e offrire servizi di qualità superiore a quelli esistenti.

Inoltre, delle quasi 500 cooperative rilevate nel 1986, il 41% non aveva rapporti con enti pubblici. Le amministrazioni pubbliche hanno quindi avuto un ruolo molto limitato nella nascita del Terzo Settore. Anche se alcune ne hanno compreso fin da subito la rilevanza, sostenendo queste realtà con innovativi strumenti contrattuali, come le convenzioni.

Va infine ricordato che fin dalle origini, volontariato e cooperazione sociale hanno saputo organizzarsi anche sul piano della rappresentanza politica e di promozione. Fino alla fine degli anni ’90 diverse cooperative sono state costituite come evoluzione naturale di una preesistente organizzazione di volontariato. Ed è proprio qui che si iniziò a considerare le varie espressioni della società civile come un soggetto “terzo” rispetto a Stato e Mercato.

Il valore concreto e simbolico del Terzo Settore

Rileggendo in quest’ottica le radici del Terzo Settore, l’articolo curato da Borzaga permette di apprezzare a pieno il valore rappresentato dal volontariato e della cooperazione sociale.

Essi hanno infatti dimostrato che i cittadini possono contribuire spontaneamente e direttamente alla realizzazione e gestione di attività di interesse generale, anche molto innovative. Anche “contro” la cultura prevalente e le stesse leggi. Se, infatti, oggi abbiamo in Costituzione il principio di sussidiarietà e l’articolo 55 del Codice del Terzo settore lo dobbiamo al volontariato e alla cooperazione sociale, che hanno modificato in modo significativo il sistema di welfare italiano, contribuendo ad aumentare la spesa sociale nei loro ambiti di impegno e non a fornire alibi alla loro riduzione.

La cooperazione sociale in particolare è stata la prima forma di impresa che per legge opera anche nell’interesse della comunità e dei soggetti più deboli. Si caratterizza quindi per l’etero-destinazione di parte del valore prodotto. Ha inoltre modificato gli obiettivi della forma cooperativa, non più solo il perseguimento dell’interesse dei soci ma anche quello di terzi in condizioni di bisogno.

Ha dimostrato che i servizi sociali non vanno considerati solo come una voce di spesa, ma possono essere gestiti secondo modalità imprenditoriali. Recuperando quindi risorse umane, immobiliari e finanziarie. Generando posti di lavoro buono, stabili e soddisfacenti, soprattutto l’occupazione femminile. Ed ha infine contribuito a far emergere il fenomeno dell’impresa sociale e dando successivamente linfa alla rivalutazione dell’economia sociale a livello europeo e internazionale.

A trent’anni dalla 381, quali prospettive?

Purtroppo, negli anni successivi all’approvazione delle due leggi, molte di queste innovazioni non sono state comprese e valorizzate. Numerose amministrazioni pubbliche hanno affidato queste realtà ad organizzazioni di volontariato e soprattutto a cooperative sociali, finendo poi per diventare, dopo l’approvazione del d.lgs. 157/1995, strumento di risparmio, facendo ricorso allo strumento dell’appalto (sovente al massimo ribasso).

Un processo massiccio a cui molte cooperative non hanno saputo opporsi. Che non ha però interessato tutto il volontariato e tutta la cooperazione sociale. La grande capacità di resilienza dimostrata poi nel corso della crisi pandemica conferma la generale tenuta del modello.

Le cooperative sociali e le altre imprese sociali in forma cooperativa hanno dimostrato di essere un’alternativa sostenibile e inclusiva all’attuale sistema economico. Forse, i tempi innanzi ci riservano una nuova fase di sviluppo per queste realtà. Ovviamente, dovranno essere in grado di cogliere le opportunità che si presenteranno insistendo su almeno tre aspetti: l’originalità del modello; il superamento del complesso di inferiorità rispetto alle altre imprese e amministrazioni pubbliche; la valorizzazione dei loro obiettivi, incentrati sulla raggiungimento della coesione sociale, realizzata occupandosi delle componenti più fragili delle comunità.

Leggi l’articolo integrale su Impresa Sociale 4/2021